Partendo
dall’analisi del Gran Premio del Giappone, Brembo spiega l’evoluzione tecnica
dei suoi impianti frenanti in carbonio nella MotoGP.
Attraverso
il suo sito, Brembo spiega l’evoluzione dei dischi di carbonio impiegati nella
MotoGP e il loro utilizzo anche in condizioni di bagnato, cosa impensabile fino
a qualche anno fa. In effetti si tratta dii una vera e propria svolta epocale
che ha toccato il suo apice nell’ultimo Gran Premio del Giappone dove ben 13
dei 15 piloti a punti (compresi i primi tre) hanno utilizzato freni in carbonio
nonostante la corsa si sia svolta sotto la pioggia, con una temperatura
dell’aria mai superiore ai 14 gradi e con quella dell’asfalto di 15.
Nel Gran
Premio del Giappone almeno una moto di ogni costruttore impegnato nel
motomondiale (Yamaha, Honda, Ducati, Aprilia, Suzuki e KTM) montava i freni in
carbonio della Brembo dimostrando la validità del prodotto, anche con la
pioggia, a prescindere dalle caratteristiche dei singoli mezzi. In sintesi fino
a qualche tempo fa i piloti della MotoGP, nel caso di una corsa sotto la
pioggia, montavano coperture rain e dischi freno in acciaio dal momento che le
temperature avrebbero impedito il buon funzionamento di quelli in carbonio.
Questi ultimi, infatti, per garantire un buon coefficiente d’attrito devono
raggiungere almeno i 250 gradi centigradi. I dischi d’acciaio garantiscono una
buona efficacia in presenza di temperature d’esercizio più basse ma dato il
peso maggiore rispetto agli omologhi in carbonio, peggiorano il comportamento
dinamico della moto. Ciò comporta che la diminuzione delle masse non sospese
assicurata dai dischi in carbonio influenza il comportamento delle sospensioni
poiché le ruote aderiscono meglio all’asfalto e questo si traduce in una
migliore guidabilità e nella possibilità di scaricare a terra una maggiore
potenza. A titolo esemplificativo durante il Gran Premio d’Olanda del 2016
iniziato sotto la pioggia e concluso sull’asciutto, Danilo Petrucci (partito
con i dischi d’acciaio) fece segnare il miglior crono in gara in 1’48’’339 cioè
ben 14’’722 secondi in più rispetto al record sull’asciutto ovvero 15,7 per
cento di tempo in più in un singolo giro. Da ciò si capisce come un particolare
come il materiale dei dischi dei freni possa incidere sulla guida e fare la
differenza tra la vittoria e un piazzamento. Ma non è finita qui. Infatti per
funzionare perfettamente il carbonio richiede molta perizia perché nei
primissimi giri di gara la sua temperatura è inferiore al valore ideale. Per
ovviare a questo problema temporaneo il pilota deve anticipare il ricorso ai
freni, pinzando alcuni metri prima del normale per innalzare le temperature
così da superare i 250 gradi e stabilizzare il coefficiente d’attrito.
L’acciaio invece soffre le alte temperature e nel finale di gara rischia di
portare all’incostanza della leva del freno. Sul bagnato il carbonio non
risente di problemi di coppia residua che invece possono affliggere i dischi in
acciaio e la fase di rilascio è più repentina garantendo quell’assenza di drag
cercata dai piloti. In altre parole, esaurita la frenata, con i dischi in
carbonio la ruota è subito libera a beneficio della guidabilità. Quest’evoluzione
è stata resa possibile sia dalla continua ricerca e dalla mole di dati
acquisiti dalla Brembo, sia dall’incremento di potenza delle moto, dal
perfezionamento degli pneumatici e dalle coperture in carbonio realizzate dai
Team per mantenere in temperatura i dischi in caso di pioggia. Ecco spiegato il
motivo per cui il Gran Premio del Giappone può essere considerata una pietra
miliare nel percorso d’avanzamento tecnologico degli impianti frenanti.
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