giovedì 1 ottobre 2015

V7 by 4H10 
Le Moto Guzzi sono bellissime. Ed è un fatto acclarato. Le riconosceresti tra mille con il loro bicilindrico a V. Ma se una carena coprisse il propulsore? Sarebbe sempre così riconoscibile? E sarebbe sempre una Guzzi? Proviamo a rispondere a questa domanda con una special parigina. La magia del Bol d’Or e delle gare di durata anni ’70, dove montavano carenature gigantesche per proteggersi dagli agenti atmosferici e per andare più veloci degli avversari (non potendo spremere più cavalli di quanti l’affidabilità dei propulsori dell’epoca permettessero) ci viene incontro.
Il duo francese viene contattato da Mandello per personalizzare una V7 Stone nuova (la basica per eccellenza della gamma). C’e’ da dire che il team aveva già lavorato su altre Guzzi (più anzianotte in realtà) e sulla scorta dell’esperienza maturata la possibilità di metter mano su una Stone nuova di pacca fa scattare una scintilla: volendo mantenere la moto entro un range di preparazione e di costi accessibile, tenendo il motore stock si vuol provare a farla andare più veloce migliorando l’aerodinamica…il tutto miscelato con quel pizzico di DNA derivato dalle corse tanto caro ai francesi (ed anche a noi). E poi lo scrambler, la cafè racer e la sport c’erano già per cui serviva qualche idea nuova. E così prima di mettere mano sulla moto, Giovanni e Nico fanno una gitarella a Mandello per ispirarsi. Al ritorno ordinano immediatamente una carenatura completa in TGA da un produttore britannico. Perché menzioniamo questo particolare? Perché è bene sapere che questo tipo di carene sono costruite con una grande quantità di fibra di vetro così da non deformarsi alle alte velocità. Montate pedane arretrate e scarico completo 2 in 1 della versione scrambler con terminale alto e singolo della Arrow (che incide positivamente sulla curva della coppia motore) procedono con la sistemazione della carenatura. E qui possiamo intravedere una prima risposta alla domanda iniziale. Per natura e conformazione il propulsore delle Guzzi necessita di tanta aria per mantenere la temperatura d’esercizio corretta. Motivo per cui qualunque carenatura sarà forata all’altezza delle teste sia per non compromettere il raffreddamento che per mere questioni d’ingombri. In soldoni le teste ci sono e si vedono anche con la carenatura. Procedendo con i lavori vengono montati un codino in stile racer anni ’70 (tutto in alluminio autocostruito e con un particolare estroso: una reticella che nasconde alla vista il doppio fanale posteriore). Nuovi tagli sulla carena si sono resi necessari per alloggiare l’impianto di scarico e a completamento dello stile e della piacevolezza della preparazione vengono montati a sbalzo due fari SEV Marchal usati e restaurati. Due semimanubri belli bassi con nuove manopole e specchietto (singolo) riposizionato, una verniciatura casalinga (con i clasici colori francesi) e nulla più hanno dato vita ad una special davvero ben fatta e non comune nel panorama odierno. E se pensate che nessuna parte vitale del telaio e del motore sono stati toccati, il gioco diventa anche legal street. E ritornando a noi, sembra che la domanda abbia una risposta sufficientemente chiara. Una Guzzi vestita con una carena sarà sempre riconoscibile come una Guzzi…sempre che abbiate il tempo di vederla sfrecciare via!  








   

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