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CAVALLI BRUTALI
Parecchi
anni fa la pubblicità di una compagnia petrolifera invitava tutti a “mettere
una tigre nel motore” per avere più potenza. Allora c’era ancora la super
rossa, ricca di benzene piombato le cui caratteristiche si erano fatte più
evidenti con l’avvento della colonnina della “verde”…bei tempi! Oggi per
mettere pepe nel motore e toccare vette inimmaginabili fino a qualche anno fa,
si riscopre il mistico turbo la chiocciola magica e ignorante tanto in voga
negli anni ’80 e ritornata prepotentemente d’attualità per migliorare il
rendimento dei propulsori moderni.
E se la Kawasaki ha fatto sognare orde d’integralisti
della potenza pura e cruda (ed entro certi limiti anche brutale), i preparatori
di mezzo mondo riscoprono alchemici manuali per trasformare in oro il (poco)
piombo additivato nella benzina. Il problema è che i tempi sono mutati e dove
prima bastava una valvola waste gate per gestire la pressione dei gas che
facevano roteare la turbina, oggi sono necessari bit e silicio collegati tra
loro da chilometri di cablaggi su cui far viaggiare miliardi d’incomprensibili
comandi digitalizzati. Rimane sempre la reazione meccanica in risposta ai flussi
gassosi, ma il comando delle operazioni non sono più veicolati solamente dal
polso destro del pilota ma anche da un cervello elettronico che non si è
degnato neppure di presentarsi. La verità è che le moderne ciclistiche e le
magiche centraline elettroniche permettono d’imbrigliare e gestire con maggiore
facilità potenze da MotoGP anche su mezzi nati per la libera circolazione.
Prendete la BMW S1000Rr; va da se che tanta ingegnerizzazione fosse in grado di
sperimentare potenze ben più elevate rispetto ai “miseri” 199 cavalli di serie.
E più o meno deve essere stato questo il pensiero di Steven Decaluwe di
Motokouture quando si è messo in testa di montare una turbina nell’iper
sportiva bavarese per testare le potenzialità del telaio. Il primo problema è
stato quello d’armonizzare la fisica della turbina con i bit della centralina e
di trovarle un posto all’interno della motocicletta. Detto fatto dentro ha
messo dentro una Garret dotata di attuatore elettronico collegato alla ECM,
nascondendo il turbo tra l’airbox e il serbatoio modificato. Abbassata la compressione
del propulsore a 9,2:1 per garantirne l’integrità, modificati condotti
d’aspirazione (avete visto i minacciosi “cannoni” sul muso?) e scarico
(realizzati a mano e completati con un terminale Spark) e settata la centralina
per il nuovo elemento, il quattro cilindri ha mostrato i muscoli facendo
segnare 296 CV alla ruota e 145 Nm di coppia massima con una velocità finale
(in quarta marcia!) di 319 chilometri orari. Per gestire la maggiore potenza è
stata montata una forcella Öhlins, un forcellone in carbonio e i cerchi della
HP4. Che sia stato per puro vezzo stilistico o per motivi squisitamente tecnici
poco importa, fatto sta che il codone è stato sostituito con un elemento nuovo
e più piccolo che contiene buona parte dell’elettronica) mentre la pancia
inferiore della carenatura è stata semplicemente abolita. Grazie a una serie
d’interventi mirati il peso totale si è attestato a 196 chili garantendo un
rapporto 1,5 cavalli per ogni chilo. Rimane l’arcano del nome VDC#92/MK30
svelato da Steven; è un tributo all’amico e pilota Vick De Cooremeter (scomparso
nel 2014) che "sarebbe stato il miglior pilota per testare quest’arma
estremamente pericolosa".
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