martedì 23 settembre 2014

MOTO GUZZI

MAGNI GIAPPONE 52
Magni e Moto Guzzi sono due nomi legati da una storia che inizia nel 1984 quando Arturo chiede a De Tomaso dei motori per poter allestire una piccola serie di motociclette stradali. In realtà Magni aveva iniziato la sua attività diversi anni prima proponendo kit per le MV Agusta e costruendo moto complete basate su  BMW ed Honda fino all’accordo con Moto Guzzi.
Da li in poi è stato un susseguirsi di piccole serie di special sportive dalla Le Mans alla Classic, dalla Arturo alla serie Sfida. Fino ad arrivare al 1998 quando sulla base della Le Mans della metà degli anni ’90 creò una sportiva più leggera di circa 36 chili, estrema, rigida, molto più estrema, dedicata agli appassionati che l’avrebbero usata in pista sebbene fosse regolarmente targata. Costruita per il mercato giapponese derivava il suo nome da due ricorrenze: i primi 50 anni dell’importatore Magni giapponese Fukuda Motors ed i primi 20 anni del marchio italiano. E non ultimo fu prodotta in soli 52 esemplari identificati da una targhetta con inciso il numero progressivo. Ispirata dalla filosofia racing in salsa italiana era essenziale e generosa nelle prestazioni senza l’allungo in alto dei plurifrazionati giapponesi e con una guida necessariamente di forza. Costruita in modo artigianale era equipaggiata con un telaio al cromo molibdeno con geometrie ottimizzate che permettevano (ed era un vanto di Magni) di non dover utilizzare un ammortizzatore di sterzo. Difatti grazie alla sospensione posteriore a parallelogramma (brevetto Magni) pur adottando un pneumatico da 180 millimetri la coassialità tra motore e telaio era pressoché perfetta al pari della distribuzione dei pesi tra i due assali. Le sospensioni rispecchiavano la miglior componentistica dell’epoca: mono posteriore con precarico ed idraulica (estensione e compressione) regolabili ed anteriore Paioli rovesciata anch’essa pluriregolabile. Freni di prim’ordine Brembo con doppio disco anteriore da 320 millimetri e pinze a quattro pistoncini e singolo posteriore da 230 e pinza a due pistoncini. Il motore rimase stock: bicilindrico a V di 90 gradi raffreddato ad aria di 1.064 centimetri cubici con due valvole per cilindro, iniezione elettronica Weber Marelli, cambio a cinque rapporti (frizione bidisco a secco con volano alleggerito), 90 cavalli a 7.800 giri al minuto e 9,78 chilogrammetri di coppia massima a 6.000 giri; unica concessione i terminali di scarico Lafranconi. La buona potenza ed il peso ridotto a 190 chili circa permettevano di sfiorare i 240 chilometri orari anche grazie alla nuova carenatura profilata e completa. Il resto della componentistica era ripresa direttamente dalla moto di serie. Oggi possederla è un privilegio oltre che un sogno; chi ha i soldi la cerca quasi senza speranza e chi la possiede la custodisce gelosamente.






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