MAGNI GIAPPONE 52
Magni e Moto Guzzi sono due nomi legati da una storia che
inizia nel 1984 quando Arturo chiede a De Tomaso dei motori per poter allestire
una piccola serie di motociclette stradali. In realtà Magni aveva iniziato la
sua attività diversi anni prima proponendo kit per le MV Agusta e costruendo
moto complete basate su BMW ed Honda
fino all’accordo con Moto Guzzi.
Da li in poi è stato un susseguirsi di piccole
serie di special sportive dalla Le Mans alla Classic, dalla Arturo alla serie
Sfida. Fino ad arrivare al 1998 quando sulla base della Le Mans della metà degli
anni ’90 creò una sportiva più leggera di circa 36 chili, estrema, rigida,
molto più estrema, dedicata agli appassionati che l’avrebbero usata in pista
sebbene fosse regolarmente targata. Costruita per il mercato giapponese
derivava il suo nome da due ricorrenze: i primi 50 anni dell’importatore Magni giapponese
Fukuda Motors ed i primi 20 anni del marchio italiano. E non ultimo fu prodotta
in soli 52 esemplari identificati da una targhetta con inciso il numero
progressivo. Ispirata dalla filosofia racing in salsa italiana era essenziale e
generosa nelle prestazioni senza l’allungo in alto dei plurifrazionati
giapponesi e con una guida necessariamente di forza. Costruita in modo
artigianale era equipaggiata con un telaio al cromo molibdeno con geometrie ottimizzate
che permettevano (ed era un vanto di Magni) di non dover utilizzare un
ammortizzatore di sterzo. Difatti grazie alla sospensione posteriore a
parallelogramma (brevetto Magni) pur adottando un pneumatico da 180 millimetri
la coassialità tra motore e telaio era pressoché perfetta al pari della
distribuzione dei pesi tra i due assali. Le sospensioni rispecchiavano la
miglior componentistica dell’epoca: mono posteriore con precarico ed idraulica
(estensione e compressione) regolabili ed anteriore Paioli rovesciata anch’essa
pluriregolabile. Freni di prim’ordine Brembo con doppio disco anteriore da 320
millimetri e pinze a quattro pistoncini e singolo posteriore da 230 e pinza a
due pistoncini. Il motore rimase stock: bicilindrico a V di 90 gradi raffreddato
ad aria di 1.064 centimetri cubici con due valvole per cilindro, iniezione
elettronica Weber Marelli, cambio a cinque rapporti (frizione bidisco a secco
con volano alleggerito), 90 cavalli a 7.800 giri al minuto e 9,78
chilogrammetri di coppia massima a 6.000 giri; unica concessione i terminali di
scarico Lafranconi. La buona potenza ed il peso ridotto a 190 chili circa
permettevano di sfiorare i 240 chilometri orari anche grazie alla nuova
carenatura profilata e completa. Il resto della componentistica era ripresa
direttamente dalla moto di serie. Oggi possederla è un privilegio oltre che un
sogno; chi ha i soldi la cerca quasi senza speranza e chi la possiede la
custodisce gelosamente.
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