Il
problema delle gomme incendia il primo week end della Superbike. E il 2018 che
si preannuncia già scoppiettante.
A
questo punto non sappiamo se faccia più notizia la straordinaria doppietta di Melandri
a Phillip Island o il problema delle gomme accusato da molti piloti. Sportivamente
propenderemmo per Marco, ma andando a fondo quanto successo in Australia pone
domande che vanno oltre il problema in se degli pneumatici distrutti.
Di certo
c’è che le squadre avevano fatto dei test precampionato la settimana precedente
la gara proprio a Phillip Island, il cui asfalto è rinomato per essere molto
aggressivo sugli pneumatici. Inoltre le modifiche regolamentari messe in atto
per livellare le prestazioni e permettere una bagarre in pista che non si
limitasse alle Kawasaki e alle Ducati, non ha sortito alcun effetto dal momento
che Melandri è stato più lento di circa un secondo rispetto alla Honda di
Marquez del 2017 sulla stessa pista e con medesime condizioni climatiche al
sabato e, più in generale, gara 1 è stata più veloce di ben 12 secondi rispetto
all’anno scorso. Inoltre le Pirelli utilizzate sono sostanzialmente un’evoluzione
delle gomme usate la passata stagione ma con sezione maggiorata. In sintesi la
Superbike va più veloce rispetto al passato tanto da avvicinare la MotoGP su
alcuni circuiti. Il problema è che trattandosi di mezzi derivati
dalla serie (e non di prototipi ben più leggeri) si deve lavorare di fino anche
sui singoli particolari come la pressione delle gomme. Un controllo a campione
sulla griglia di partenza, infatti, ha evidenziato come alcuni piloti abbiano
utilizzato pressioni inferiori rispetto a quanto indicato dalla Pirelli. Quanto
appena descritto ha suggerito agli organizzatori di comminare penalità a chi sarà
trovato con pneumatici con pressioni sotto il limite suggerito, a partire dal
round tailandese. Ciononostante in Australia molti piloti hanno sofferto di
degrado eccessivo e, sembra, nel caso di Hernandez addirittura dell’esplosione
del pneumatico. Non riteniamo sia corretto additare la Pirelli come la causa di
quanto accaduto a Phillip Island; crediamo piuttosto che sia il caso di
rivedere l’intera impostazione dei regolamenti della Superbike. Perché non è
accettabile che Ducati (e pochi altri) che hanno lavorato per trovare il giusto
equilibrio tra prestazioni e durata, vengano penalizzati con il cambio
obbligatorio degli pneumatici in gara richiesto da quei team (e relativi
piloti) che sapevano di non poter concludere la gara o lottare per le posizioni
di alta classifica con un solo set in nome della sicurezza. Allo stesso modo appare
quantomeno inopportuno far passare il flag to flag come un’azione necessaria
per garantire la sicurezza dei piloti dal momento che sono proprio questi
ultimi a girare la manopola del gas, a decidere i setting delle proprie moto e,
infine, a rallentare (o meno) quando la gomma comincia a deteriorarsi. Alla
luce del round australiano, forse, sarebbe il caso che piuttosto che parlare di
griglie invertite e di giri motore ridotti (che alla luce dei risultati di
Phillip Island non sembrano aver sortito effetti evidenti) l’organizzatore
della Superbike restituisse al campionato la propria caratteristica
fondamentale ovvero quella di evento motoristico in circuito dedicato a modelli
derivati dalla serie in cui anche il privato può provare a lottare per la
vittoria.
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