giovedì 6 ottobre 2016

LA STORIA DELLA INDIAN (Parte 3 di 3)


Se siete tra coloro che pensano che la Indian si chiami così perché fondata in India…beh siete fuori strada. E poiché quest’anno ricorre il 115esimo anniversario della fondazione, quale migliore occasione per dirimere ogni dubbio sulla più antica marca di motociclette AMERICANA (nonché, per un certo periodo, anche la più grande industria motociclistica del mondo)?

ATTENZIONE: l’articolo è diviso in tre parti!


1946-2016: GLI ULTIMI FUOCHI, LA CHIUSURA E LA RINASCITA

Ralph B. Rogers uomo d’affari e filantropo, acquisisce nel ’45 dai fratelli DuPont la Indian che alla fine della guerra aveva in listino unicamente la Chief. La prima azione del rinnovato management è quella di riconvertire la produzione bellica in civile e di avviare la progettazione di nuovi modelli. Le motociclette (Arrow, Super Scout e Warrior) pensate dal team d’ingegneri sono molto distanti dalla precedente produzione Indian; veicoli leggeri e con piccole motorizzazioni non hanno nulla in comune con le velocissime Scout e Chief anteguerra, e per la Indian inizia l’agonia che la porterà alla chiusura definitiva pochi anni dopo. I nuovi modelli non fanno breccia tra il pubblico e a poco servono gli aggiornamenti tecnici cui viene sottoposta la Chief (forcella telescopica e motore maggiorato a 1.300cc) e la produzione in generale (introduzione di particolari cromati e della famosa luce a forma di “testa d’indiano” sul parafango anteriore). Nel ‘50 Rogers, in qualità di presidente dell’azienda, viene sostituito da John Brockhouse e nonostante i successi sportivi, nel ‘53 la Indian Motocycle Company viene dismessa e la produzione interrotta, lasciando campo libero alla storica rivale Harley-Davidson. I quasi sessant’anni che seguiranno saranno i più bui della compagnia. Nel ’55 Brockhouse acquisisce i diritti per l’uso del nome Indian e fino al ’60 lo applicherà sui serbatoi dei modelli Royal Enfield che importerà negli Stati Uniti. Nel ’60 l’inglese AMC acquisisce il nome Indian per vendere negli USA Matchless e AJS con il marchio americano ed evitare la concorrenza con la Royal Enfield; con la messa in liquidazione della AMC nel ’62 la Indian passa nelle mani di Giuseppe Berliner che non lo userà in alcun modo. Curiosamente, e in modo non del tutto chiaro, tra il ’63 e il ’70 Floyd Clymer appone il marchio indian su delle minimoto da cross di 50cc e successivamente, utilizzandone la base, anche sulle Italjet Grifone e su un modello completamente nuovo (la Velo 500) che monta il monocilindrico della Velocette. Alla morte di Clymer, la moglie cederà il diritto d’uso del nome Indian al suo avvocato, Alan Newman, che continuerà ad utilizzarlo “marchiando” piccole motociclette costruite a Taiwan e proseguendo per un certo periodo la collaborazione con gli europei. Nel ’74 Newman affida a Tartarini lo sviluppo di un prototipo basato sul bicilindrico di 860cc della Ducati. Il progetto (e con esso la Indian) fallisce nel ’77 e da quel momento il marchio verrà ceduto diverse volte generando dispute legali anche in virtù dell’affaire Clymer. L’unica nota positiva di questo lungo periodo oscuro, è la famosa impresa realizzata Burt Munro che nel ’67, all’età di 68 anni, stabilirà il record di velocità a Bonneville “planando” sulla sua crosta salata a 184,087 miglia orarie a bordo della sua Indian Scout degli anni ’20 ampiamente modificata. Passa il tempo e proseguono le vicissitudini del costruttore di Springfield fino a quando nel ’98 la produzione viene riavviata grazie a una cordata di ben nove società unitesi assieme per costituire la Motorcycle Company Indian America (IMCA). Verranno messi in vendita tre modelli con altrettanti nomi storici (Chief, Scout e Spirit) tutti equipaggiati con motori S&S; l’avventura terminerà nel 2003 con un nuovo fallimento. L’anno dopo Stephen Julius e Steve Heese, attraverso la Stellican Ltd., acquistano i diritti del marchio e creano la Indian Motorcycle con base a Kings Mountain (Carolina del Nord). L’avvio della produzione inizia nel 2008 con una nuova Chief (sostanzialmente un’Harley-Davidson modificata soprattutto a livello estetico) che non riscuoterà alcun successo, e nell’aprile del 2011 la Stellican Ltd. cederà la Indian Motorcycle alla Polaris Industries Inc. Si tratta di un colosso dell’industria americana, produttore di motoslitte, veicoli fuoristrada, piccoli mezzi elettrici, e società madre della Victory Motorcycles. Con l’acquisizione la produzione viene trasferita negli impianti Polaris a Spirit Lake (Iowa) e il reparto progettazione nel Centro Sviluppo Prodotto Polaris del Wyoming, in Minnesota. I nuovi proprietari conoscono molto bene il settore delle due ruote e hanno le idee chiare su come rilanciare (finalmente) il glorioso marchio americano. Si lavora alacremente e nel 2013 al Daytona Bike Week viene presentato il primo frutto della rinnovata gestione: il nuovo e potente V-Twin Thunder Stroke 111 che andrà ad equipaggiare tre modelli (Chief Classic, Chief Vintage e Chieftain) completamente nuovi ma rispettosi della tradizione e del DNA del marchio. Tra l’entusiasmo della folla viene anche svelata una rielaborazione moderna, basata sulla nuova produzione, della moto da record di Munro. E’ la ciliegina sulla torta che sancisce la fine di un lungo periodo buio e l’inizio di un nuovo corso per la Indian. Già entro l’anno la line up passa da tre a sette modelli con l’introduzione della nuova Scout con propulsori dedicati di 1.130 e 980cc. Si amplia la rete vendita, si creano eventi in cui far provare l’intera produzione (demo ride); customizer di livello mondiale cominciano ad affiancare alle onnipresenti Harley-Davidson, special su base Indian. Nel 2014 sempre al Daytona Bike Week, viene presentato l’Indian Motorcycle Riders Group (IMRG) il club ufficiale dedicato a tutti i possessori di modelli del costruttore americano. La gamma continua ad ampliarsi e le riviste di settore tributano premi al marchio e ai singoli modelli. L’attenzione della Polaris per la Indian è evidente fin da subito: piuttosto che apporre semplicemente il marchio sui serbatoi della produzione Victory, pur sfruttando le sinergie del caso creano modelli che rispettano in pieno la tradizione del costruttore di Springfield. E per i 115 anni dalla fondazione si sono regalati una nuova scommessa: tornare nelle corse del circuito AMA flat track con una motocicletta completamente nuova di 750cc. Come dire che il futuro di fronte alla Indian è più roseo che mai.   
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