ELON
JACK POTTER “MICHIGAN MADMAN”, IL PAZZO DEL MICHIGAN
Mentre
dalle casse risuona la leggendaria “The end of the world” di Mary Frances
Penick, meglio conosciuta come Skeeter Davis, sul monitor da 27 del Mac appare
uno screenshot di Elon Jack Potter alias EJ alias “Michigan Madman” impegnato a
controllare gli oltre 500 cavalli sprigionati dal possente V8 Chevrolet
imprigionato nel telaio di una…motocicletta!
E’ stato un tuffo nel cuore,
perché se siete rimasti a bocca aperta di fronte alle mirabolanti acrobazie di
Evel Knievel, se avete sempre patteggiato per Burt Munro quando nessuno sano di
mente avrebbe voluto farlo correre con la sua Indian sulla sottilissima crosta
salata di Bonneville, allora avrete seri problemi a mantenere sotto controllo i
battiti cardiaci durante la lettura della storia del “pazzo del Michigan”. Classe
1941 a dispetto del soprannome era un uomo anche molto pragmatico, cresciuto in
campagna ma con i motori nel cuore. Aveva imparato a fare da se tutto ciò che
gli serviva (un po’ per mancanza di soldi e un po’ perché aveva capito che si
poteva ottenere tanto con poco se si sa dove mettere le mani) e soleva dire che
“l’ignoranza è un mezzo potente se applicata al momento giusto”. Tradotto più
prosaicamente vuol dire che a sedici anni decise di procurarsi un V8 Chevy che
coniugava leggerezza ed elevata potenza, per montarlo nel telaio (modificato) di
un’Harley-Davidson! Quel mostro era talmente potente che la polizia locale lo
aveva “invitato” a non provarlo più in strada. Così EJ cominciò a bazzicare il
mondo delle drag strips americane e lì iniziò la sua leggenda perché mentre gli
altri piloti s’impegnavano a correre più velocemente degli avversari, EJ
combatteva con il suo mostro che a ogni accelerata contorceva il leggero telaio.
Fu così che Art Arfons, promotore dell’evento, gli disse che se avesse domato
quel mezzo sul quarto di miglio gli avrebbe dato un dollaro per ogni miglio
orario sopra i cento. In una sola notte
di “esibizioni” guadagnò 150 dollari con tre lanci prima che lo pneumatico si
distruggesse! Col tempo si rese conto che quell’accozzaglia di puro metallo
americano necessitava d’affinamenti, primo fra tutti la frizione che non
reggeva la potenza. Dopo averne provate parecchie, escogitò un sistema efficace
(per lui) caratterizzato dalla trasmissione diretta della potenza dal motore
alla ruota! In pratica aveva costruito un cavalletto che teneva alzato il
pneumatico posteriore sulla linea di partenza; portava il motore a 7.500 giri
(più o meno corrispondenti a una velocità teorica di 100 miglia orarie) e
quando scattava il verde EJ semplicemente…spingeva la moto in avanti e
schizzava via. Questo artificio meccanico gli permise di passare immediatamente
da 115 a 136 miglia orarie, grazie all’annullamento delle perdite di potenza
causate dallo slittamento della frizione. Costruì sei prototipi della sua V8
prima d’arrivare all’ultima versione battezzata Widowmaker 7 (letteralmente
“creatore di vedove” e data la potenza in gioco è facile comprendere il motivo
del nome) con cui entrò nel guinnes dei primati nel ‘73 facendo segnare la
velocità massima di 170 miglia orarie nella sua categoria; in quella
circostanza venne ribattezzato “Michigan Madmax”. La Widowmaker 7 nella
versione da record montava un V8 small-block Chevrolet da 350 pollici cubici (5,7
litri) che fungeva da elemento stressato, con cascata d’ingranaggi, camme a
rulli con comando delle valvole a bilanciere, testate d’alluminio Brodix,
pistoni forgiati e iniezione Hilborn. In seguito si appassionò ai motori a
reazione e ai trike; realizzò diversi prototipi di mezzi a tre ruote con cui
fece segnare la velocità massima della categoria a oltre 200 miglia orarie. Fautore
della sicurezza in moto, fu tra i primi a indossare caschi protettivi anche in
strada nonostante non fossero obbligatori. Si impegnò nelle drag racing dal ‘60
al ‘73 e nella sua carriera incorse in due incidenti gravi. Il primo nel ‘66
durante una manifestazione sportiva in Inghilterra quando si ruppe il bacino e
il secondo nel ’71 quando la mancata apertura di un paracadute a 120 miglia
orarie gli procurò fratture multiple. Nel ‘73 dopo il ritiro si dedicò alle
competizioni su quattro ruote con auto e trattori all’inizio con motori di
derivazione aeronautica e dopo con propulsori più “normali”, divenendo uno dei
maggiori esperti nella preparazione dei V12 Allison. Si narra che una notte
volendo provare la sua Plymouth del ‘57 preparata per le gare d’accelerazione e
dotata del V12 Allison, la guidò in strada. Le accelerazioni brucianti e la
potenza del V12 stressarono a tal punto gli pneumatici che l’abitacolo si
riempì di fumo ed EJ, che sedeva sulla panca posteriore, fu costretto a guidare
sulla destra della carreggiata per non essere ulteriormente accecato dai fari
delle automobili che sopraggiungevano dalla parte opposta. Non contento
continuò a provare le accelerazioni fino a quando il motore prese fuoco ed
esplose. Nelle competizioni per trattori entrò quasi per caso quando un amico
gli chiese se aveva qualche grosso propulsore da usare per quel tipo di gare.
Un veloce periodo di studio per apprendere le basi e con un trattore dimesso
nell’aspetto e costato molto meno rispetto ai mezzi della concorrenza si
presentò alla Indy Super Pull che…vinse! Sfruttò l’esperienza di anni nelle
gare d’accelerazione e al posto della classica frizione utilizzata dagli altri
piloti, EJ montò un più semplice e redditizio convertitore di coppia. Alla fine
conquistò per ben due anni di seguito il campionato. L’apoteosi del lavoro di
EJ fu il prototipo di trattore dotato del W24 Allison sperimentale progettato
per i bombardieri (praticamente due V12 affiancati) in grado d’erogare la
bellezza di 4.000 cavalli! Per il doppio titolo di campione del mondo nelle
competizioni per trattori e per tutte le altre imprese, nel ’92 fu inserito
nella Michigan Motorsports Hall of Fame con gli onori del caso. Uomo d’azione e
di profondo ingegno dimostrò cosa volesse dire ignorare certi limiti per
lasciare libero sfogo alla fantasia; malato da tempo d’Alzheimer morì a 71 anni
il 30 aprile del 2012 in seguito alle complicazioni del morbo.
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