IL
PUNTO DELLA SITUAZIONE
Dopo
tre round disputati si possono già trarre alcune conclusioni sui campionati
delle derivate di serie? Assolutamente si, e a ben guardare alcune potevano
essere già fatte anche prima. Iniziamo subito dalla classe regina, la
Superbike, in evidente affanno di ascolti. I regolamenti che volevano livellare
le prestazioni e limitare le aree d’intervento per tornare allo spirito “di
serie” della categoria, non hanno sortito gli effetti sperati.
Difficilmente un
privato potrà comprare una supersportiva in concessionaria, montare due gomme
nuove e vincere una gara come invece accadeva in passato. Le moto che corrono e
vincono sono quelle ufficiali esattamente come i piloti che si contendono la
vittoria delle singole gare e del campionato. Inoltre la regola dell’inversione
parziale della griglia dal sabato alla domenica, scritta per aumentare lo
spettacolo e per ridimensionare per quanto possibile monopolio Kawasaki/Rea
degli ultimi due anni, si è rivelata, almeno sotto quest’aspetto, poco utile.
Rea e Davies sono i piloti che, salvo imprevisti, si giocheranno gare e
mondiale fino alla fine; e come ci ha insegnato gara 2 di Aragon, che partano
dalla pole o dalla terza fila poco importa. L’unica novità è la presenza di
comprimari che vengono inquadrati per più tempo…quanto meno fino a quando
vengono raggiunti e superati dai big. Forse serve un atto di coraggio più
estremo e ridurre ancora di più gl’interventi sui motori per esaltare le
caratteristiche ora del due ora del quattro rendendo potenzialmente appetibile la
partecipazione anche ai tre cilindri. D’altronde Yamaha sta dimostrando di
credere nel progetto Superbike e i primi risultati stanno arrivando; quindi
perché non “stuzzicarla” invogliandola a sfruttare il tricilindrico che hanno
in casa? Stesso discorso per Honda che quest’anno ha portato in pista la nuova
CBR 1000 ma che sotto sotto sta già preparando (esattamente come Ducati) una
nuova V4. L’eterogeneità tecnica con relative caratteristiche preponderanti,
potrebbe essere un modo più naturale per garantire lo spettacolo in pista. Discorso
diverso per la Supersport 600 dove il rimescolamento di piloti e team,
l’assenza forzata nelle prime gare del mattatore della categoria Sofouglu e le
condizioni meteo particolari, hanno dato vita a exploit piacevoli quanto
inattesi. In questo frangente la casa che ha più colpito è stata la Yamaha che
ha colto già la prima vittoria con la nuova R6 e che potrebbe davvero essere
una valida alternativa all’ormai anziana CBR e alla Kawasaki campione del mondo
in carica. MV Agusta pur risultando molto veloce appare ancora fragile e questo
può fare la differenza per chi punta al titolo (il 2016 di Cluzel è
emblematico). Infine la Supersport 300 che ha debuttato proprio ad Aragon. La
classe cadetta, sebbene permetta la presenza di costruttori e relative motorizzazioni
con cilindrate e frazionamenti diversi (teoricamente livellati nelle
prestazioni da zavorre et similia), ha ricordato a tratti l’ex 125 con
gruppetti in lotta sul filo della traiettoria migliore. La 300 deve essere
guidata sempre al massimo e con estrema pulizia; una divagazione sullo sporco o
sul cordolo comporta una perdita di velocità difficilmente recuperabile. E’
davvero una classe propedeutica? Probabilmente si e la bagarre e lo spettacolo,
almeno per il momento, sembrano essere garantiti. Ma siamo certi che in poco
tempo nasceranno mezzi sempre più specifici ed estremi, magari sotto forma di
versioni “trofeo” o limited edition, e la vittoria sarà sempre più legata alla
classica innovazione tecnologica (chi di voi ricorda le vecchie 125 da GP che
montavano il doppio disco anteriore per aumentare la maneggevolezza e ridurre
l’effetto raddrizzante in frenata?). L’aspetto positivo è che invoglia vecchi e
nuovi costruttori a investire ed entrare nel campionato delle derivate di
serie; che sia proprio la nuova classe 300 il salvagente che ci si aspettava?
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