Johnny
cannibale e Superbike in crisi di spettacolo sono i punti di partenza di una
riflessione sul futuro della categoria.
Come
lui nessuno mai. Perché che l’inglese fosse un pilota forte (molto forte) lo si
era capito già parecchio tempo fa quando guidava (e vinceva) in sella a una
Honda non proprio in splendida forma. Ma che potesse conquistare ben tre titoli
mondiali consecutivi (e verosimilmente possiamo supporre che non abbia alcuna
intenzione di fermarsi qui) nessuno lo avrebbe potuto pronosticare.
Eppure gli
elementi erano tutti lì a portata di mano: una moto vincente (la Kawasaki
ZX-10RR del team ufficiale Kawasaki Racing Team o KRT) e il pilota più grintoso
e tattico del paddock (ma con una punta di sana follia quando gli si “chiude la
vena”) ancora a secco di titoli pur potendo annoverare diverse vittorie in
sella alla CBR 1000 che non era certamente la moto più performante del lotto.
Aggiungete una fame sportiva da cannibale e il Rea-show è servito. Alla luce
delle attuali performance è evidente che l’inglese è destinato a battere tutti
i record della categoria. Johnny è a un passo dall’eguagliare il pilota più
titolato di tutti i tempi (Fogarty con quattro allori), dal superare il record
di punti in una singola stagione (Colin Edwards a quota 552 accumulati nel 2002
in sella alla Honda VTR 1000 SP2) e dal diventare il pilota con più vittorie in
carriera nel campionato delle derivate di serie superando Bayliss a quota 59
(al momento Rea è a 50). Ma gli manca una caratteristica fondamentale che fa di
un grande pilota campione del mondo, un Valentino Rossi della categoria: il
carisma con cui vince. Già perché l’italiano ha sempre dato spettacolo dentro e
fuori le piste, a volte “giocando” con gli avversari e a volte con la stampa
mentre Rea vince e basta. o meglio, vince facendo sembrare tutto molto facile.
A questo puto escludendo a priori la possibilità di “rallentare” il tre volte
campione del mondo, ci chiediamo perché apparentemente sembra che non esistano
al momento avversari in grado di fermarlo. Da una parte c’è Sykes, compagno di
team e a sua volta campione della categoria nel 2013. L’inglese, soprattutto in
passato, ha mostrato grinta e manico (impossibile dimenticare le sue
performance a Monza nel 2012 sotto una pioggia torrenziale e il dimezzamento
dei punti che gli sono costati il titolo), eppure con i nuovi regolamenti
sembra l’ombra di se stesso pur guidando la moto campione del mondo. C’è poi
Davies e la sua Panigale R dell’Aruba.it Racing – Ducati; l’inglese mostra
coraggio e passione ma cade spesso vanificando di fatto da tre anni la
possibilità di lottare fino alla fine per il mondiale. Probabilmente la rossa
di Borgo Panigale, a causa dei regolamenti che mortificano le caratteristiche
delle bicilindriche rispetto alle quattro cilindri, è una moto troppo vicina al
limite al punto che per puntare alla vittoria, in alcuni casi bisogna spingerla
oltre il limite con le conseguenze del caso. A riprova di quanto appena detto
quando la Panigale è perfettamente settata, Chaz vince o comunque arriva a
ridosso di Rea regalando spettacolo e battaglie epiche. In questo contesto
mancano le altre marche a partire dalle italiane Aprilia (Milwaukee Aprilia) ed
MV Agusta (MV Agusta Reparto Corse) che pur profondendosi in test e sviluppi,
non riescono ad avvicinare i piloti di testa. Manca la Yamaha del Pata Yamaha
Official WorldSBK Team che paga lo scotto di un mezzo troppo nuovo e forse anche
acerbo per poter lottare costantemente con i primi. Parte del pacchetto è
formato anche dai riders e in questo frangente la presenza di un pilota vittorioso
e d’esperienza potrebbe fare la differenza, per quanto l’exploit di Ben Spies
vittorioso all’esordio sulla R1 nel 2009 deve essere considerato un evento
raro. Manca la Honda con il Red Bull Honda World Superbike Team che ha vissuto
un anno travagliato sia sotto l’aspetto umano che tecnico, ma che da troppo
tempo non centra la vittoria o quanto meno un posto sul podio. Mancano, infine,
i tedeschi della BMW, la cui bandiera è tenuta in alto dal privatissimo e
italianissimo Althea BMW Racing Team, che porta avanti lo sviluppo pur sapendo
di doversi scontrare con squadroni ufficiali supportati direttamente dalle
relative case madre. Su questa istantanea appena descritta, si stanno
discutendo le future norme del nuovo regolamento che vuole fare dello
spettacolo in pista il fulcro intorno a cui far ruotare le modifiche del caso.
C’è chi vorrebbe più libertà e chi, al contrario, maggiori restrizioni; c’è chi
parla di ritrovare lo spirito originario della categoria e chi, invece, invoca
l’evoluzione; c’è, infine, chi suggerisce la trasmigrazione di piloti della
MotoGP (immaginando, magari, un Rossi su una…rossa!) come panacea a tutti i
mali della Superbike. La verità è che in questi giorni si è letto tutto e il
contrario di tutto al punto che è trapelata anche l’idea di limitare i giri
motore dei piloti più veloci per limitarne le prestazioni e farli avvicinare
dai più lenti. A oggi, le uniche regole che si sono discostate dalla “prassi”
della storia del campionato, si sono risolte in un nulla di fatto (griglia
invertita e divisione delle due manche tra il sabato e la domenica) al punto
che una delle gare più interessanti è stata proprio quella di domenica in
Francia che ha visto diversi piloti darsi battaglia in parte per le condizioni
meteo altalenanti (pioggia leggera ma persistente) e in parte per l’assenza di
Rea ritiratosi dopo una collisione con un altro pilota. Apparentemente, quindi,
la soluzione sembrerebbe quella di non far correre l’inglese! O forse no?
Innanzitutto è auspicabile che team ufficiali e privati possano prendere parte
all’intera stagione sapendo di poter realisticamente concorrere per vincere non
solo le singole gare ma anche il campionato, non tanto incentivando i
costruttori a scendere in pista quanto garantendo limiti di budget che
permettano di livellare sviluppi dei mezzi e componentistiche varie
(elettronica in primis), così da far risaltare le capacità di guida dei piloti,
le caratteristiche dei propulsori e il lavoro di messa a punto delle squadre.
Sarebbe molto interessante anche poter vedere dei piloti di altre categorie
confrontarsi come wild card nell’arco della stagione. Questo implicherebbe uno
sforzo di gestione degli sponsor e dei calendari non indifferente, ma ricordate
l’effetto mediatico (e spettacolare) di Simoncelli a Imola sull’Aprila RSV4 nel
2009? Oggettivamente di idee per ridare lustro alla Superbike ne esistono tante
quante sono i tifosi e i fan che seguono il campionato. Ma la speranza, al
momento, è che non si punti solo sullo show per fare business quanto piuttosto
sullo spettacolo in pista per far divertire spettatori e piloti.
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