domenica 25 febbraio 2018

Polemiche in Superbike

Il problema delle gomme incendia il primo week end della Superbike. E il 2018 che si preannuncia già scoppiettante.
A questo punto non sappiamo se faccia più notizia la straordinaria doppietta di Melandri a Phillip Island o il problema delle gomme accusato da molti piloti. Sportivamente propenderemmo per Marco, ma andando a fondo quanto successo in Australia pone domande che vanno oltre il problema in se degli pneumatici distrutti.
Di certo c’è che le squadre avevano fatto dei test precampionato la settimana precedente la gara proprio a Phillip Island, il cui asfalto è rinomato per essere molto aggressivo sugli pneumatici. Inoltre le modifiche regolamentari messe in atto per livellare le prestazioni e permettere una bagarre in pista che non si limitasse alle Kawasaki e alle Ducati, non ha sortito alcun effetto dal momento che Melandri è stato più lento di circa un secondo rispetto alla Honda di Marquez del 2017 sulla stessa pista e con medesime condizioni climatiche al sabato e, più in generale, gara 1 è stata più veloce di ben 12 secondi rispetto all’anno scorso. Inoltre le Pirelli utilizzate sono sostanzialmente un’evoluzione delle gomme usate la passata stagione ma con sezione maggiorata. In sintesi la Superbike va più veloce rispetto al passato tanto da avvicinare la MotoGP su alcuni circuiti. Il problema è che trattandosi di mezzi derivati dalla serie (e non di prototipi ben più leggeri) si deve lavorare di fino anche sui singoli particolari come la pressione delle gomme. Un controllo a campione sulla griglia di partenza, infatti, ha evidenziato come alcuni piloti abbiano utilizzato pressioni inferiori rispetto a quanto indicato dalla Pirelli. Quanto appena descritto ha suggerito agli organizzatori di comminare penalità a chi sarà trovato con pneumatici con pressioni sotto il limite suggerito, a partire dal round tailandese. Ciononostante in Australia molti piloti hanno sofferto di degrado eccessivo e, sembra, nel caso di Hernandez addirittura dell’esplosione del pneumatico. Non riteniamo sia corretto additare la Pirelli come la causa di quanto accaduto a Phillip Island; crediamo piuttosto che sia il caso di rivedere l’intera impostazione dei regolamenti della Superbike. Perché non è accettabile che Ducati (e pochi altri) che hanno lavorato per trovare il giusto equilibrio tra prestazioni e durata, vengano penalizzati con il cambio obbligatorio degli pneumatici in gara richiesto da quei team (e relativi piloti) che sapevano di non poter concludere la gara o lottare per le posizioni di alta classifica con un solo set in nome della sicurezza. Allo stesso modo appare quantomeno inopportuno far passare il flag to flag come un’azione necessaria per garantire la sicurezza dei piloti dal momento che sono proprio questi ultimi a girare la manopola del gas, a decidere i setting delle proprie moto e, infine, a rallentare (o meno) quando la gomma comincia a deteriorarsi. Alla luce del round australiano, forse, sarebbe il caso che piuttosto che parlare di griglie invertite e di giri motore ridotti (che alla luce dei risultati di Phillip Island non sembrano aver sortito effetti evidenti) l’organizzatore della Superbike restituisse al campionato la propria caratteristica fondamentale ovvero quella di evento motoristico in circuito dedicato a modelli derivati dalla serie in cui anche il privato può provare a lottare per la vittoria.   




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