RIFLESSIONI
DAL SALONE E FUTURO DEL MOTOCICLISMO
Per
osservare lucidamente gli eventi bisogna attendere che i pensieri si
depositino, che le emozioni si sedimentino e che il tempo faccia il suo dovere.
A distanza di due settimane esatte dalla fine dell’Esposizione internazionale
del ciclo e del motociclo possiamo trarre le prime conclusioni a freddo.
Innanzitutto una riflessione molto generale: questo è stato l’anno del
tassello, delle suspersportive di nicchia, dei prototipi stupefacenti e delle
piccole cilindrate. Oltre all’X-ADV di Honda (che ci ha impressionati
favorevolmente pur essendo, almeno sulla carta, “solo” uno scooter), i
prototipi alleggeriti e incattiviti per l’off-road dell’Africa Twin e della
futura Tenere ci hanno letteralmente fatto sognare ad occhi aperti immaginando
sfide di dakariana memoria su distese desertiche sul filo dei 200 km/h. A
tratti ci sembrava di rivivere l’atmosfera degli anni ’80 e ’90 quando il
leggendario raid Paris-Dakar era all’apice del successo con dirette televisive,
endurone imperanti nelle città e report da tutti gli angoli del globo
rigorosamente su due ruote (tassellate e da 21 pollici). E se per Honda e
Yamaha l’appuntamento è rimandato al 2018 (anno in cui sembrerebbe verranno
presentate le versioni definitive di questi modelli), nel presente dovremo
“accontentarci” della Royal Enfield Himalayan e della KTM 1290 Super Adventure
R. Diametralmente opposte per forme, filosofie, dimensioni e cilindrate
rispecchiano in pieno la voglia d’avventura senza limiti su due ruote (di cui
l’anteriore da 21 pollici). L’X-ADV, di contro, è un concetto totalmente nuovo;
sembra uno scooterone (e in effetti ha lo scudo anteriore protettivo, il vano
sottosella capiente, comodità e la facilità alla guida) ma assomiglia anche ad
una motocicletta (forcella rovesciata con piastre superiore e inferiore, ruota
anteriore da 17 pollici, motore bicilindrico da 750 centimetri cubici, cambio
DCT, cerchi a raggi, posizione in sella rialzata, paramani derivato dall’Africa
Twin e pedane supplementari zigrinate per la guida su terreni sconnessi). In
sintesi è qualcosa che prima non c’era e ora c’è; una rivoluzione oltre il mero
concetto che abbiamo paragonato alla nascita dei SUV. Una menzione a parte
spetta allo Scrambler Desert Sled perché lo abbiamo definito l’anello mancante
tra lo Scrambler classico e la Multistrada Enduro e perché nasce sulla scorta
di una tradizione tutta americana che comunque piace molto (visto il risultato)
anche a noi europei. Per quanto riguarda le supersportive basta citare tre
esponenti della categoria: Ducati Superleggera 1290 (lo stato dell’arte della
Panigale e, sostanzialmente, la replica della versione Superbike di Davies),
Honda CBR 1000 RR Fireblade (che si giova del know how della MotoGP e che, si
spera, possa essere l’arma vincente nelle mani di Hayden nel campionato
Superbike) e Yamaha R6 (estremizzazione del concetto di supersportiva 600; da
non scambiare per una R1 in scala ridotta perché nella realtà è un progetto
completamente autonomo e vedrete cosa riuscirà a fare Tuuli nel mondiale
Supersport). Tra i concept citeremo la KTM 790 Duke (bicilindrico che sembra un
mono, incastonato in un corpo da naked e che lascia prefigurare un’intera
famiglia di modelli…e come sempre negli ultimi decenni KTM propone e gli altri
dovranno inseguire) e Yamaha T7 il già citato prototipo della futura Tenere
(sembrava una gazzella sulle sue lunghe sospensioni, i colori erano perfetti e
l’aria da deserto l’aveva tutta…ma bisogna aspettare fino al 2018). E infine le
vere best sellers del salone, onnipresenti negli stand e a detta dei
costruttori, futuro delle due ruote (anche dal punto di vista economico): le
piccole cilindrate. Si parte con la BMW che ha presentato la G 310 G/S,
monocilindrica che sa tanto di giro del mondo (ma senza correre), avventurosa
esattamente come la sigla impone e globale. C’è poi la già citata Royal Enfield
Himalayan che si distacca dall’attuale produzione e introduce un nuovo motore,
un nuovo design e, forse, anche una nuova linea di modelli. E poi citiamo
Brixon, Orcal, Mash, Vervemoto marchi più o meno sconosciuti (ad eccezione di
Mash) che facevano del downsizing la loro bandiera. Cosa avevano in comune
buona parte di queste motociclette? Praticamente tutto, dal telaio (simili per
forme e dimensioni) ai propulsori (da 50 a 400 centimetri cubici o giù di lì,
raffreddati ad aria, con cambio a cinque o sei marce e potenze non superiori ai
30 cavalli circa). Declinate in varie versioni (scambler, naked, enduro, cafè
racer) tutte create sulla stessa base, devono essere guardate con occhio
critico. Perché se è vero che da un lato incentivano i giovani a salire su una
motocicletta semplice e dai costi relativamente bassi, è altresì corretto dire
che in qualche caso abbiamo visto verniciature un po’ approssimative, saldature
davvero bruttine, pedane troppo sottili ed ottimistiche e assemblaggi
approssimativi. Ciò detto anche questo è il futuro del motociclismo che piaccia
o meno, quindi prepariamoci a riorganizzare un angolino nei nostri garage per
passare un po’ di tempo a smontare, modificare e rimontare queste piccole
motociclette…proprio come facevamo vent’anni fa con i 50ini e i 125 a due
tempi. Che sia un futuro migliore di quanto non credessimo?
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