E’
la prima Royal Enfield completamente nuova da sessant’anni a questa parte;
motore nuovo (e inedito in alcune sue caratteristiche), telaio monoculla
sdoppiato in acciaio progettato da zero dallo specialista inglese Steve Harris
di Harris Performance e design che spezza con l’attuale gamma.
Per comprendere
quanto gli indiani puntino su questo nuovo modello (e su un’ipotetica, quanto
probabile, inedita famiglia di motociclette costruite intorno al nuovo mono da
411 centimetri cubici) basti dire che ad EICMA lo stand era diviso in due metà
con la prima occupata dall’intera gamma classica e la seconda dedicata
unicamente alla Himalayan, con tanto di scenografica (e sabbiosa) ambientazione
avventurosa. Per quanto le Royal Enfield nascano con il chiaro intento d’essere
mezzi polivalenti in grado d’attraversare il mondo in lungo e in largo,
l’Himalayan è un progetto nato per sottolineare quest’aspetto, sposando
caratteristiche tecniche che si distaccano dalla classica Bullet e virando
verso modelli più enduristici. Si tratta di un progetto che ha avuto una gestazione
molto lunga (soprattutto se paragonata alle tempistiche europee) di oltre 10
anni ma che ha partorito un prodotto per certi versi unico nel panorama
motociclistico e al contempo personale. Di base vuol essere una moto semplice e
alla portata di tutti (anche dal punto di vista del prezzo), in grado d’essere
usata in città come nel fuoristrada. Si spiega così il manubrio e le
sospensioni alte accoppiati ad una sella posta a soli 800 millimetri da terra.
Il monocilindrico di 411 centimetri cubici raffreddato ad aria (con radiatore
dell’olio), sfrutta il sistema di distribuzione con albero a camme in testa, un
cambio a cinque rapporti in blocco con il propulsore, un contralbero per le
vibrazioni e una corsa lunga (come da tradizione Royal Enfield). La potenza di
24,5 cavalli (coppia pari a 32 nanometri) assicura consumi bassi e grazie ai 15
litri di capacità del serbatoio (e ai 182 chili in ordine di marcia) sono
garantite autonomie prossime ai 450 chilometri con un pieno. La ciclistica è
relativamente standard con una forcella anteriore da 41 con 200 millimetri
d’escursione, monoammortizzatore (per la prima volta su una Royal Enfield) posteriore
con leveraggi e 180 millimetri d’estensione, freno a disco singolo anteriore da
300 millimetri (posteriore da 240) con pinza a due pistoncini e cerchi da 21 (davanti)
e 17 (dietro). Si comprende immediatamente che si tratta di una motocicletta
onesta, priva di qualsivoglia orpello elettronico (ad eccezione dell’iniezione
e dell’ABS; nel mercato interno sarà venduta con carburatore classico e senza
impianto d’antibloccaggio dei freni), minimalista e quasi “ruvida” per come si
presenta. In realtà è una motocicletta allineata ai tempi, in grado di
percorrere grandi distanze con poco carburante (fatti due conti sono circa 30
chilometri litro), costruita con l’acciaio che è più pesante dell’alluminio ma
è anche più facile da riparare in ogni angolo del globo, robusta (basta guardare
i portapacchi posteriori in grado d’ospitare borse laterali e case centrale, i
paracolpi tubolari anteriori e la slitta paramotore) e con una sua spiccata
personalità. Resta da capire se farà breccia nei cuori dei motociclisti perché l’Himalayan
è diversa dalle classiche Bullet (motociclette che hanno basato la propria
fortuna sull’immutabilità del progetto che risale agli anni ’50) e non è
neppure simile alle concorrenti più moderne (ed “elettroniche”). Provate a
immaginarla accanto ad una Tenerè o a una G 310 G/S (per citare una novità):
quale scegliereste?
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