lunedì 6 febbraio 2017

PERSONAGGI

ELON JACK POTTER “MICHIGAN MADMAN”, IL PAZZO DEL MICHIGAN
Mentre dalle casse risuona la leggendaria “The end of the world” di Mary Frances Penick, meglio conosciuta come Skeeter Davis, sul monitor da 27 del Mac appare uno screenshot di Elon Jack Potter alias EJ alias “Michigan Madman” impegnato a controllare gli oltre 500 cavalli sprigionati dal possente V8 Chevrolet imprigionato nel telaio di una…motocicletta!
E’ stato un tuffo nel cuore, perché se siete rimasti a bocca aperta di fronte alle mirabolanti acrobazie di Evel Knievel, se avete sempre patteggiato per Burt Munro quando nessuno sano di mente avrebbe voluto farlo correre con la sua Indian sulla sottilissima crosta salata di Bonneville, allora avrete seri problemi a mantenere sotto controllo i battiti cardiaci durante la lettura della storia del “pazzo del Michigan”. Classe 1941 a dispetto del soprannome era un uomo anche molto pragmatico, cresciuto in campagna ma con i motori nel cuore. Aveva imparato a fare da se tutto ciò che gli serviva (un po’ per mancanza di soldi e un po’ perché aveva capito che si poteva ottenere tanto con poco se si sa dove mettere le mani) e soleva dire che “l’ignoranza è un mezzo potente se applicata al momento giusto”. Tradotto più prosaicamente vuol dire che a sedici anni decise di procurarsi un V8 Chevy che coniugava leggerezza ed elevata potenza, per montarlo nel telaio (modificato) di un’Harley-Davidson! Quel mostro era talmente potente che la polizia locale lo aveva “invitato” a non provarlo più in strada. Così EJ cominciò a bazzicare il mondo delle drag strips americane e lì iniziò la sua leggenda perché mentre gli altri piloti s’impegnavano a correre più velocemente degli avversari, EJ combatteva con il suo mostro che a ogni accelerata contorceva il leggero telaio. Fu così che Art Arfons, promotore dell’evento, gli disse che se avesse domato quel mezzo sul quarto di miglio gli avrebbe dato un dollaro per ogni miglio orario sopra i cento.  In una sola notte di “esibizioni” guadagnò 150 dollari con tre lanci prima che lo pneumatico si distruggesse! Col tempo si rese conto che quell’accozzaglia di puro metallo americano necessitava d’affinamenti, primo fra tutti la frizione che non reggeva la potenza. Dopo averne provate parecchie, escogitò un sistema efficace (per lui) caratterizzato dalla trasmissione diretta della potenza dal motore alla ruota! In pratica aveva costruito un cavalletto che teneva alzato il pneumatico posteriore sulla linea di partenza; portava il motore a 7.500 giri (più o meno corrispondenti a una velocità teorica di 100 miglia orarie) e quando scattava il verde EJ semplicemente…spingeva la moto in avanti e schizzava via. Questo artificio meccanico gli permise di passare immediatamente da 115 a 136 miglia orarie, grazie all’annullamento delle perdite di potenza causate dallo slittamento della frizione. Costruì sei prototipi della sua V8 prima d’arrivare all’ultima versione battezzata Widowmaker 7 (letteralmente “creatore di vedove” e data la potenza in gioco è facile comprendere il motivo del nome) con cui entrò nel guinnes dei primati nel ‘73 facendo segnare la velocità massima di 170 miglia orarie nella sua categoria; in quella circostanza venne ribattezzato “Michigan Madmax”. La Widowmaker 7 nella versione da record montava un V8 small-block Chevrolet da 350 pollici cubici (5,7 litri) che fungeva da elemento stressato, con cascata d’ingranaggi, camme a rulli con comando delle valvole a bilanciere, testate d’alluminio Brodix, pistoni forgiati e iniezione Hilborn. In seguito si appassionò ai motori a reazione e ai trike; realizzò diversi prototipi di mezzi a tre ruote con cui fece segnare la velocità massima della categoria a oltre 200 miglia orarie. Fautore della sicurezza in moto, fu tra i primi a indossare caschi protettivi anche in strada nonostante non fossero obbligatori. Si impegnò nelle drag racing dal ‘60 al ‘73 e nella sua carriera incorse in due incidenti gravi. Il primo nel ‘66 durante una manifestazione sportiva in Inghilterra quando si ruppe il bacino e il secondo nel ’71 quando la mancata apertura di un paracadute a 120 miglia orarie gli procurò fratture multiple. Nel ‘73 dopo il ritiro si dedicò alle competizioni su quattro ruote con auto e trattori all’inizio con motori di derivazione aeronautica e dopo con propulsori più “normali”, divenendo uno dei maggiori esperti nella preparazione dei V12 Allison. Si narra che una notte volendo provare la sua Plymouth del ‘57 preparata per le gare d’accelerazione e dotata del V12 Allison, la guidò in strada. Le accelerazioni brucianti e la potenza del V12 stressarono a tal punto gli pneumatici che l’abitacolo si riempì di fumo ed EJ, che sedeva sulla panca posteriore, fu costretto a guidare sulla destra della carreggiata per non essere ulteriormente accecato dai fari delle automobili che sopraggiungevano dalla parte opposta. Non contento continuò a provare le accelerazioni fino a quando il motore prese fuoco ed esplose. Nelle competizioni per trattori entrò quasi per caso quando un amico gli chiese se aveva qualche grosso propulsore da usare per quel tipo di gare. Un veloce periodo di studio per apprendere le basi e con un trattore dimesso nell’aspetto e costato molto meno rispetto ai mezzi della concorrenza si presentò alla Indy Super Pull che…vinse! Sfruttò l’esperienza di anni nelle gare d’accelerazione e al posto della classica frizione utilizzata dagli altri piloti, EJ montò un più semplice e redditizio convertitore di coppia. Alla fine conquistò per ben due anni di seguito il campionato. L’apoteosi del lavoro di EJ fu il prototipo di trattore dotato del W24 Allison sperimentale progettato per i bombardieri (praticamente due V12 affiancati) in grado d’erogare la bellezza di 4.000 cavalli! Per il doppio titolo di campione del mondo nelle competizioni per trattori e per tutte le altre imprese, nel ’92 fu inserito nella Michigan Motorsports Hall of Fame con gli onori del caso. Uomo d’azione e di profondo ingegno dimostrò cosa volesse dire ignorare certi limiti per lasciare libero sfogo alla fantasia; malato da tempo d’Alzheimer morì a 71 anni il 30 aprile del 2012 in seguito alle complicazioni del morbo.   
 




















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